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FuoriMargine

La lettura senza confini: recensioni e incontri con gli Autori

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Confessioni di una vittima dello shopping di Radhika Jha

Elisa Rubertelli 24 aprile 2017

Il titolo potrebbe far erroneamente pensare ad un chick lit sulla scia della Kinsella: niente di più ingannevole! Qui non c’è affatto leggerezza, ma un racconto livido, scuro e sofferto da parte della sua stessa protagonista che viviseziona la propria parabola vitale senza alcuna indulgenza né per se stessa e, di conseguenza, neanche per gli altri.

L’intera vicenda scorre come fosse un’autobiografia, ambientata nel Giappone degli anni ’80 del secolo scorso sino ad oggi. Il disagio che mina costantemente l’esistenza di Kayo ha origini profonde, partendo dalla precoce perdita del padre e dal pressoché inesistente rapporto con la madre, riverberandosi nel suo percepirsi mediocre, non “abbastanza” per il lavoro, le persone che frequenta e persino per suo marito. Successivamente alla prima gravidanza, la donna cade in una turba psicologica in cui per lei essere, esistere, equivalgono all’avere, al comprare: solo attraverso l’acquisto di certi oggetti riesce ad arrivare ad un’immagine di sé che la soddisfi. Inizia patologicamente a dividere l’umanità attraverso categorie di possesso, in cui più salirà di livello, maggior autostima sarà autorizzata ad avere, sino a considerarsi un’eletta, la super donna che aspira di diventare per essere degna del contesto sociale di cui è parte. In realtà Kayo non si vede mai “a fuoco”: col marito e i figli si vergogna per i denari scialacquati, col gruppo d’amiche benestanti si sente fuori luogo, con Tomoko, amica per cui sviluppa una sorta di ossessione eleggendola a modello assoluto, troppo brutta ed insignificante per starle vicino…tutto questo perché non è mai riuscita ad avere una sana visione di sè slegata dalla preoccupazione di come apparire all’altrui sguardo e giudizio.

Un libro disturbato e disturbante, tormentato dalla continua altalena emotiva della protagonista, un personaggio coniugato violentemente al singolare, totalmente estraneo ad empatia e al più elementare affetto, che quando usa parole gentili per la sua famiglia, lo fa per solo senso del dovere. Un viaggio esasperato nel nero d’anima d’una donna fredda, eppure capace di sorprendere, talvolta, per purezza e limpidezza di pensiero. La scrittura ha uno stile rapido, sicuro, confidenziale nel tono quanto spietato nell’analisi chirurgica, meccanica e mai emotiva della propria vicenda; tutto è intonato al gelo e all’oscurità in cui il lettore è avvolto ed è funzionale a trascinarlo a fondo con Kayo. L’unico lampo d’azzurro sono le descrizioni d’ambienti naturali, particolarmente riuscite perché vive, poetiche senza ridondanza, composte in poche battute e che restano appiccicate addosso a lungo. Una lettura tagliente che brucia sulla pelle come una ferita non rimarginata; per stomaci, se non forti, quanto meno preparati.

  • #articolo
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#TdL17. La storia di Lidia: 88 anni, 70 da abbonata del Piccolo Teatro di Milano.

Elisa Rubertelli 22 aprile 2017

LidiaVenerdì 21 aprile, Fahrenheit, lo storico programma di libri di Radio 3 condotto da Marino Sinibaldi, racconta, fra un incontro e l’altro con gli autori presenti alla fiera, una storia meravigliosa, quella di Lidia Cova, pimpante 88enne abbonata del Piccolo Teatro di Milano da ben 70 anni, cioè da quando ne aveva solo 18. Impressionano da subito la lucidità di questa signora, il dolce garbo con cui racconta il suo amore sconfinato per il teatro, ripercorrendo una giovinezza che mai pare averla lasciata in vivacità e brillantezza. Lidia lavorava in un’azienda operante in ambito fotografico, molti suoi colleghi erano orfani di guerra o persone con disabilità fisiche, assunti nell’immediato dopoguerra. La cultura era allora ancora per pochi, ma, nonostante questo, Lidia riesce a coinvolgere nella sua passione la maggior parte di loro e lo fa senza insistenze, con dedizione: su carta velina batte a macchina i riassunti di tutte le trame delle opere in cartellone al Piccolo, in modo che i suoi amici possano conoscerne gli argomenti, essere attratti da quegli intrecci finora sconosciuti ma immediatamente percepiti come appassionanti e coinvolgenti. Lidia mette a servizio dell’altrui conoscenza la propria, attraverso il suo innato entusiasmo, pacato nei modi ma trascinante nell’affascinare tramite il racconto delle sue scoperte teatrali .

“In 70 anni ho visto tutto, saltai solo un piccolo periodo dopo che Strehler non c’era più, per il dispiacere. Pochi spettacoli mi hanno delusa, ma non è detto che non valessero, semplicemente non hanno incontrato il mio gusto personale”

E oggi? “Ma anche ora è bellissimo! Adoro il teatro d’avanguardia!”

Lidia racconta anche della sua passione per la musica sinfonica, di quando ragazza e insonne ascoltava la radio tutta la notte e di ora che, quando vuole concedersi “un premio”, va a sentire un concerto dal vivo.

Sinibaldi le chiede: ” Ma a casa guarda la tv?” “Sì, ma solo quando fanno vedere il teatro”

L’incontro termina, avresti voglia di abbracciarla, tutti la applaudiamo e le sorridiamo teneramente, quasi con riconoscenza: sì, perché la signora Lidia ci ha mostrato un volto della terza età di toccante speranza, un tempo che in lei nulla ha spento ma solo allungato, dilatando senza scolorire la sua passione e mantenendone l’eloquio, il brio e la contagiosa allegria prodigiosamente intatti.

 

  • #bompiani
  • #houellebecq
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Estensione del dominio della lotta di Michel Houllebecq

Elisa Rubertelli 20 aprile 2017

Prima opera  di Michel Houellebecq, datata 1999, porta in sé già tutti i semi della sua poetica, nonché il suo caratteristico, abituale stile di scrittura. La vicenda nella propria sostanza si rivela essere più che altro un mezzo per esplicitare la visione della vita di Houellebecq; non sono i fatti, peraltro pochi, a contare nel romanzo, bensì il vissuto del protagonista, le sue analisi feroci e senza scampo che occupano l’intero testo. Non è quindi necessaria una sinossi della trama, ma una disamina dei temi ricorrenti nell’Autore francese. Tutti i suoi personaggi sono affetti da un’infelicità profonda, cronica, che vivono in maniera terribilmente lucida e consapevole: questo li porta ad avere un rapporto col mondo freddamente analitico, a categorizzare algidamente ogni persona con cui si trovano (sempre mal volentieri) ad interagire. Il loro non si può nemmeno definire pessimismo: è talmente radicato, profondo, privo del minimo dubbio, da essere un vero e proprio realismo nerissimo, cupo, senza rimedio. Tuttavia, in loro la speranza esiste ma quasi mai vissuta come reale possibilità di riscatto, bensì come radice di frustrazione costante. Le loro sono brevi illusioni, accompagnate da uno sguardo stanco, già vinto in partenza, prive di uno vero slancio. E’ gente intollerante al mondo, ad esso estranea e che al tempo stesso non si ama affatto: una gelida e irrimediabile consapevolezza di fallimento li pervade e, se provano invidia, essa si tramuta in cronica amarezza. Un desiderio di suicidio balena spesso in loro come unica certezza di personale risoluzione, eppure non viene mai attuato sul serio, restando qualcosa di auspicabile ma per cui ci si sente troppo vigliacchi, una brama che si negano per non tradire con un atto concreto l’unica intima certezza: avere mancato il proprio scopo nella vita. Il protagonista anticipa nell’essenza profonda quello che sarà uno dei personaggi più famosi di Houellebecq, Bruno de “Le particelle elementari”. Entrambi conoscono l’esperienza dell’internamento in una clinica psichiatrica, l’ossessione per il sesso ha nel protagonista de “Estensione del dominio della lotta” i germi che si svilupperanno in maniera ancora più terribile in Bruno. La voce narrante in questo primo romanzo scarta progressivamente in un’inquietante alienazione: la sentiamo montare ferocemente dopo metà libro, quando ormai il lettore era assuefatto al suo tono piatto e lucidamente gelido, tanto da non attendersi (pur percependola come verosimile quando si attua), un’evoluzione simile. Il resto è una rapida discesa agli inferi che fagocita quei pochi scampoli di normalità presenti nelle esistenze dei due personaggi principali, condannandoli ad una pena senza redenzione, al totale disfacimento mentale e morale, allo scannarsi fra eguali, ad una fine cannibale, il tutto con un impatto psicologico oscenamente violento verso il lettore.

  • #narrativaitaliana
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Memorie di un sognatore abusivo di Paolo Pasi

Elisa Rubertelli 19 aprile 2017

In una società futuristica in cui gli individui si muovono solo aderendo a rigidi dettami imposti dall’autorità centrale, la Comunità, il potere controlla tutto, a partire dai sogni: monitorati, divisi per classi e tassati di conseguenza. Ne deriva un quadro complessivo di alienazione dell’individuo e dei rapporti sociali: le persone quasi non si parlano direttamente, se non per lavoro, inghiottono pasticche e beveroni energetici in modo da esser più produttivi ma, soprattutto, per dormire il meno possibile. Tutto il resto è desolatamente delegato a fredda tecnologia.
In questo contesto asettico si muove il nostro protagonista, l’io narrante, per niente integrato nei gelidi meccanismi della vita sociale della Comunità. Il suo problema? Sogna troppo, il che lo indebita continuamente col fisco a cui è impossibile sfuggire, dato che ogni contribuente deve collegarsi, tramite delle ventose, alla macchina che li conteggia, l’odiata X19. Da qui inizia la sua vicenda che si dipana fra slanci di ribellione al sistema e rimpianti per un passato (soprattutto sentimentale), sacrificato al rispetto delle regole; prende così forma il suo vivere un presente opaco, stanco e stinto, sempre fuori fuoco, schiacciato fra nostalgie senza ritorno e possibilità ancora tutte da costruire.
La scrittura riflette pienamente questo ciclico alternarsi di stati d’animo: nelle fasi propositive è frenetica, piena, incalzante, ritmata, avvolgente nel suo battere il tempo dell’azione. Al contrario, segna i momenti di dubbio rendendo la stasi dell’azione, appiattendosi, descrivendo un torpore decisionale attraverso una narrazione attorcigliata intorno a se stessa, specchio di pensieri ossessivi e sterili.
I punti migliori del testo li troviamo nella descrizione e racconto dei sogni: un universo vivido ed estremamente dinamico, le cui tipiche frenesie ed incoerenze sono rese in scene veloci ma accurate, quasi dei veri e propri flash visivi. Da segnalare anche gli spunti più prettamente fantascientifici, riusciti e mai esagerati o forzati, disegnano un futuro assolutamente plausibile, diretta conseguenza del mondo attuale. Domina la continua presenza di strumenti tecnologici di iperconnessione che restituisce una rete di relazioni personali esclusivamente virtuale, causa e spia di una cronica solitudine di massa tossica e paralizzante.
La battaglia per la difesa dei sogni e per la loro liberazione diventa quindi metafora del rimanere umani, rivendicazione del singolo in opposizione ad un quadro d’insieme muto, omologato, ripiegato su un vuoto vacuo, l’affermazione che non sono le connessioni artificiali a contare, bensì quella col proprio mondo interiore, purché libero di esprimersi. Ma una società così repressa dal potere, riuscirà davvero a liberarsi? Oppure l’autorità creerà un modo di replicar se stessa,creando una nuova gabbia dorata? Sarà la vicenda intera del protagonista, un percorrere in crescendo il proprio destino intimamente legato a quello collettivo, a ricordarci come sia sempre una rivoluzione delle singole coscienze a fare quella sociale e mai viceversa.
Pasi conferma il proprio talento nel tratteggiare personaggi dall’animo lacerato:la sofferenza viva, i subbugli interiori sono resi attraverso un flusso massiccio dei pensieri dei protagonisti. Sono riflessioni che li sfiniscono, dove esce tutta la frustrazione del loro vivere in una sorta di prigionia, ma in cui anche nasce un’incontenibile spinta al cambiamento, una sete non sopibile di libertà per sé e gli altri che ne travolge e rivoluziona le esistenze.

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La vita sconosciuta di Crocifisso Dentello

Elisa Rubertelli 16 aprile 2017

Questo è l’estratto per il tuo primo articolo.

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L’altra figlia di Annie Ernaux

Elisa Rubertelli 16 aprile 2017

Questo è l’estratto per un articolo segnaposto.

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  • #giornalismoculturale
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Un millimetro in là – Marino Sinibaldi, Giorgio Zanchini

Elisa Rubertelli 16 aprile 2017

Questo è l’estratto per un articolo segnaposto.

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