
Prima opera di Michel Houellebecq, datata 1999, porta in sé già tutti i semi della sua poetica, nonché il suo caratteristico, abituale stile di scrittura. La vicenda nella propria sostanza si rivela essere più che altro un mezzo per esplicitare la visione della vita di Houellebecq; non sono i fatti, peraltro pochi, a contare nel romanzo, bensì il vissuto del protagonista, le sue analisi feroci e senza scampo che occupano l’intero testo. Non è quindi necessaria una sinossi della trama, ma una disamina dei temi ricorrenti nell’Autore francese. Tutti i suoi personaggi sono affetti da un’infelicità profonda, cronica, che vivono in maniera terribilmente lucida e consapevole: questo li porta ad avere un rapporto col mondo freddamente analitico, a categorizzare algidamente ogni persona con cui si trovano (sempre mal volentieri) ad interagire. Il loro non si può nemmeno definire pessimismo: è talmente radicato, profondo, privo del minimo dubbio, da essere un vero e proprio realismo nerissimo, cupo, senza rimedio. Tuttavia, in loro la speranza esiste ma quasi mai vissuta come reale possibilità di riscatto, bensì come radice di frustrazione costante. Le loro sono brevi illusioni, accompagnate da uno sguardo stanco, già vinto in partenza, prive di uno vero slancio. E’ gente intollerante al mondo, ad esso estranea e che al tempo stesso non si ama affatto: una gelida e irrimediabile consapevolezza di fallimento li pervade e, se provano invidia, essa si tramuta in cronica amarezza. Un desiderio di suicidio balena spesso in loro come unica certezza di personale risoluzione, eppure non viene mai attuato sul serio, restando qualcosa di auspicabile ma per cui ci si sente troppo vigliacchi, una brama che si negano per non tradire con un atto concreto l’unica intima certezza: avere mancato il proprio scopo nella vita. Il protagonista anticipa nell’essenza profonda quello che sarà uno dei personaggi più famosi di Houellebecq, Bruno de “Le particelle elementari”. Entrambi conoscono l’esperienza dell’internamento in una clinica psichiatrica, l’ossessione per il sesso ha nel protagonista de “Estensione del dominio della lotta” i germi che si svilupperanno in maniera ancora più terribile in Bruno. La voce narrante in questo primo romanzo scarta progressivamente in un’inquietante alienazione: la sentiamo montare ferocemente dopo metà libro, quando ormai il lettore era assuefatto al suo tono piatto e lucidamente gelido, tanto da non attendersi (pur percependola come verosimile quando si attua), un’evoluzione simile. Il resto è una rapida discesa agli inferi che fagocita quei pochi scampoli di normalità presenti nelle esistenze dei due personaggi principali, condannandoli ad una pena senza redenzione, al totale disfacimento mentale e morale, allo scannarsi fra eguali, ad una fine cannibale, il tutto con un impatto psicologico oscenamente violento verso il lettore.
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