
In una società futuristica in cui gli individui si muovono solo aderendo a rigidi dettami imposti dall’autorità centrale, la Comunità, il potere controlla tutto, a partire dai sogni: monitorati, divisi per classi e tassati di conseguenza. Ne deriva un quadro complessivo di alienazione dell’individuo e dei rapporti sociali: le persone quasi non si parlano direttamente, se non per lavoro, inghiottono pasticche e beveroni energetici in modo da esser più produttivi ma, soprattutto, per dormire il meno possibile. Tutto il resto è desolatamente delegato a fredda tecnologia.
In questo contesto asettico si muove il nostro protagonista, l’io narrante, per niente integrato nei gelidi meccanismi della vita sociale della Comunità. Il suo problema? Sogna troppo, il che lo indebita continuamente col fisco a cui è impossibile sfuggire, dato che ogni contribuente deve collegarsi, tramite delle ventose, alla macchina che li conteggia, l’odiata X19. Da qui inizia la sua vicenda che si dipana fra slanci di ribellione al sistema e rimpianti per un passato (soprattutto sentimentale), sacrificato al rispetto delle regole; prende così forma il suo vivere un presente opaco, stanco e stinto, sempre fuori fuoco, schiacciato fra nostalgie senza ritorno e possibilità ancora tutte da costruire.
La scrittura riflette pienamente questo ciclico alternarsi di stati d’animo: nelle fasi propositive è frenetica, piena, incalzante, ritmata, avvolgente nel suo battere il tempo dell’azione. Al contrario, segna i momenti di dubbio rendendo la stasi dell’azione, appiattendosi, descrivendo un torpore decisionale attraverso una narrazione attorcigliata intorno a se stessa, specchio di pensieri ossessivi e sterili.
I punti migliori del testo li troviamo nella descrizione e racconto dei sogni: un universo vivido ed estremamente dinamico, le cui tipiche frenesie ed incoerenze sono rese in scene veloci ma accurate, quasi dei veri e propri flash visivi. Da segnalare anche gli spunti più prettamente fantascientifici, riusciti e mai esagerati o forzati, disegnano un futuro assolutamente plausibile, diretta conseguenza del mondo attuale. Domina la continua presenza di strumenti tecnologici di iperconnessione che restituisce una rete di relazioni personali esclusivamente virtuale, causa e spia di una cronica solitudine di massa tossica e paralizzante.
La battaglia per la difesa dei sogni e per la loro liberazione diventa quindi metafora del rimanere umani, rivendicazione del singolo in opposizione ad un quadro d’insieme muto, omologato, ripiegato su un vuoto vacuo, l’affermazione che non sono le connessioni artificiali a contare, bensì quella col proprio mondo interiore, purché libero di esprimersi. Ma una società così repressa dal potere, riuscirà davvero a liberarsi? Oppure l’autorità creerà un modo di replicar se stessa,creando una nuova gabbia dorata? Sarà la vicenda intera del protagonista, un percorrere in crescendo il proprio destino intimamente legato a quello collettivo, a ricordarci come sia sempre una rivoluzione delle singole coscienze a fare quella sociale e mai viceversa.
Pasi conferma il proprio talento nel tratteggiare personaggi dall’animo lacerato:la sofferenza viva, i subbugli interiori sono resi attraverso un flusso massiccio dei pensieri dei protagonisti. Sono riflessioni che li sfiniscono, dove esce tutta la frustrazione del loro vivere in una sorta di prigionia, ma in cui anche nasce un’incontenibile spinta al cambiamento, una sete non sopibile di libertà per sé e gli altri che ne travolge e rivoluziona le esistenze.