
Questo libro fa male, è una coltellata al rallentatore, in cui senti ogni fibra della pelle, prima, e poi dei muscoli sotto, lacerarsi: un viaggio agli inferi senza ritorno, una distruzione progressiva e senza scampo. Amo da sempre Frascella e anche in questo cambio repentino d’argomento e tono rispetto al consueto, mantiene e conferma una prosa snella, veloce, efficace, mai piatta, vitale. Forse è quest’ultimo aggettivo a stridere pesantemente con la trama (vale la pena sottolineare, autobiografica) del testo, che di vitale ha ben poco; anzi, è una vitalità al contrario quella che troviamo in queste pagine: un progressivo ed annientante spegnimento di tutto ciò che componeva la normale vita di Christian prima del micidiale avvento di tremendi attacchi di panico. Da qui in poi combatte una lotta impari, in primis nell’accettazione con se stesso della malattia (fase, questa, che passa attraverso quasi continui ed esasperanti ricoveri drammatici nei vari pronto soccorso di Torino) poi con il crudele sgretolamento che le sue nuove condizioni operano sui suoi rapporti umani più stetti, fidanzamento in primis. Ci troviamo di fronte ad un uomo spezzato,sbattuto improvvisamente nel buio più nero, incapace di uscirne e il suo è un racconto asfittico, difficile da sostenere, quanto tremendamente autentico e destabilizzante. Non è una lettura semplice: più di una volta si viene letteralmente trascinati a fondo con il protagonista; eppure, per scrivere onestamente di questa condizione psico-fisica vigliacca, l’effetto sul lettore non poteva che essere questo. L’Autore rende con ripetitività straniante il manifestarsi delle crisi, fino alla creazione di un’atmosfera di non tempo e non luogo, una sospensione tossica, spietata e devastante che chi ha vissuto questa patologia ben riconosce. Un libro per stomaci forti, amaro ma catartico, il diario di una prova tremenda, inaspettata, annullante, ma da attraversare e comprendere per trasformare cicatrici in forza.