“Amico mio” di Gianmarco Perale

Tom (Tommaso) e Poni (Paride) hanno tredici anni e sono amici da sempre, sin dall’asilo. Condividono tutto: scuola, feste, calcio giocato e tifato; la loro è una linea di vita parallela, con la costante dell’attraversarla fianco a fianco. Un episodio, che vedrà coinvolto un altro compagno di classe, romperà gli equilibri. 

Tom vive l’amicizia con Poni in modo totalizzante, ciecamente convinto che la sua esclusività debba restare intatta. A Tommaso ciò appare naturale, normale, scontato: privo di una elaborazione razionale, preda delle emozioni, non riesce a comprendere perché l’amico includa anche altri. Sviluppa, così, una visione distorta: per lui la presenza e la fedeltà di Poni diventano la condizione necessaria per vivere, l’unico vero motivo di interesse verso il mondo.

Gianmarco Perale crea, partendo dagli elementi tipici di un romanzo di formazione, il suo contrario allucinato: qui non c’è crescita, bensì una graduale, e sempre più profonda, discesa nell’abisso all’insegna di possesso, gelosia, bugia ed ossessione. 

Narrativamente, il tratto distintivo del libro salta subito all’occhio: il racconto è costituito prettamente da dialoghi. Attraverso il parlato i personaggi vengono presentati, delineati e costruiti nella loro evoluzione (in realtà involuzione, per Tom). Una scelta non semplice, ma riuscita che, attraverso le voci, riesce a fare passare testo e l’ambiguità del sottotesto. Tutto ciò è reso in modo plausibile: i dialoghi ricalcano il modo di parlare semplice (a volte sgrammaticato nei congiuntivi), diretto ed essenziale di due ragazzini. La lingua del romanzo funziona per il modo in cui è dosata, ossia con la misura tarata a togliere. Dentro quelle parole si sentono, parimenti chiari e netti, anche i silenzi, le omissioni.

Su questo canale passano pure gli scambi di Tom e Poni con gli adulti. In particolare, del primo con la madre e con Luca, il ragazzo allenatore della squadra di calcio giovanile. Perale mette in scena come si possa, parlando, non parlare affatto. Il lettore sente sulla sua pelle ogni barriera comunicativa, ci rimbalza contro facendosi male. 

Il romanzo è ben costruito: tutto è calibrato sulla progressiva e letale astrazione di Tom dalla realtà con un crescendo calibrato perfettamente . Per gran parte del libro ciò crea l’inquieta aspettativa che qualcosa di irreparabile stia per succedere: si legge pattinando sul ciglio del burrone. Tommaso è un personaggio in cui l’elemento distruttivo lievita e questo lo rende imprevedibile. L’autore riesce a farci domandare quale possa essere il suo limite e se esista. Dalla pagina passano la sua rabbia montante, il disagio, spesso espresso con un’improvvisa voglia di fuga, ma anche qualche lampo di luce, come la labile voglia di confidarsi che sfuma per incapacità di trovare le parole e per sfiducia negli adulti

Nella dinamica del libro, Poni funziona come motore della distorsione percettiva di Tom e da suo contraltare. In lui, infatti, prende gradualmente piede un moto opposto a quello dell’amico: quasi sottotraccia, in controluce, Perale ne delinea la dolorosa presa di coscienza, lo spaesamento e la messa in atto di una risposta indipendente.

“Amico mio” merita la lettura per forza e qualità dell’impianto narrativo: una prova più che convincente su un tema difficile, psicologicamente ramificato ed ostico come quello dei rapporti tossici, che sviluppa con originalità, tensione ed arguzia. 

Scheda: “Amico mio” di Gianmarco Perale, NNE, aprile 2023. pagine 224, euro 17

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